lunedì 24 giugno 2013

[Reviù] Progenie Terrestre Pura - U.M.A. (2013)



1. Progenie Terrestre Pura
2. Sovrarobotizzazione
3. La Terra Rossa Di Marte
4. Droni
5. Sinapsi Divelte
DURATA: 51:20


Un debutto mica da ridere, questo degli italici Progenie Terrestre Pura. A due anni dalla loro demo, Promo 2011, questi due ragazzi veneti hanno dato vita a un album interessantissimo, in grado di far puntare il mio personale riflettore sulla band. U.M.A. è infatti un disco raffinato, furioso, molto elaborato ma al contempo di facile ascolto, mai banale.

Volendo cercare un'etichetta "di genere" all'album, si può definire il tutto come un valido esponente di avantgarde metal. Non bisogna però aspettarsi le sonorità barocche tipiche di alcuni album degli Arcturus o di Vintersorg: la base fondante della proposta sonora dei Progenie Terrestre è sì il black metal, ma fortissime influenze post-rock e ambient creano un sound decisamente distinguibile da quello dei colleghi nordeuropei sopra citati. Evocativi testi dal forte sapore sci-fi (l'acronimo del titolo sta per "Uomini Macchine Anime"), pur non brillanti sotto il profilo letterario, si legano con successo alle atmosfere introdotte dai synth più o meno prominenti rispetto alla salda base black.



"Dualità" è forse IL sostantivo che userei per descrivere l'album: sonorità dure, tipicamente metal, si alternano o convivono con le note  evocative di sintetizzatori "futuristici". La traccia di apertura ne è un ottimo esempio: dopo un inizio molto "calmo", che mescola black metal, ambient e post-rock, lentamente il pezzo acquista sempre più spessore e pesantezza; in seguito il tutto sfuma in passaggi più atmosferici  per poi riprendere verso il settimo minuto in una furia nera totalizzante, che esclude quasi del tutto quelle sonorità sintetiche che torneranno solo, sommessamente, in conclusione di brano. Un ciclo "evocativo - duro" che è vero e proprio manifesto dell'intero lavoro dei Progenie Terrestre Pura.

Fatta esclusione per La Terra Rossa di Marte, pezzo centrale della scaletta e interamente strumentale, ogni brano è infatti un piccolo Giano Bifronte: echi di Satyricon e attimi vagamente melodeath (in "Sovrarobotizzazione"), batterie picchiatrici alla Nattens Madrigal (in "Droni") e riff di puro symphonic black (in "Sinapsi Divelte") si mescolano a note di pura elettronica a volte minimalista, a volte invadente, sempre in grado di guidare l'ascoltatore lungo tutto il brano. Che sembra finir subito, nonostante le tracce abbiano una durata non esigua.
Un lavoro ispirato, pieno, ricco e che scorre via che è un piacere. Godibile sin dal primo momento e in grado al contempo di acquistare valore dopo ogni ascolto. Non mi sembra affatto poco, per un full d'esordio.

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